MANIERISMO
LA GENESI
Nelle arti figurative
il termine è stato assunto dalla critica per designare
il complesso fenomeno stilistico italiano ed europeo
che si colloca tra il 1520 ca. e l'ultimo decennio del
sec. XVI (ossia tra il culmine del Rinascimento e il
preannuncio del barocco); caratterizzato tra l'altro
da un estetismo antinaturalistico lontano dalla razionalità
rinascimentale, si espresse in suggestive alterazioni
dei rapporti spaziali e subordinò le proporzioni naturali
della figura umana al ritmo fluido ed elegante della
composizione. La denominazione deriva dal termine "maniera",
usato dal Vasari sia come semplice sinonimo di stile,
sia per indicare il modo di comporre dei massimi artisti
rinascimentali ("la gran maniera di Michelangelo").
La critica secentesca, e segnatamente Giovanni Bellori,
diede invece al termine "maniera", con riferimento
allo stile dei pittori vissuti dopo Leonardo, Raffaello
e Michelangelo, un significato negativo,accusandoli
di inerzia creativa, di artificiosità, di virtuosismo
tecnico non sostenuto dall'ispirazione. La rivalutazione
critica del barocco, sul finire del sec. XIX, diede
l'avvio a un riesame dello stile manieristico da un
nuovo angolo visuale. La definizione terminologica e
concettuale di m. è però merito della storiografia tedesca
del primo Novecento (Voss, Dvorák) che, mettendo in
luce gli aspetti eterodossi e inquietanti dell'artedel
tardo Cinquecento, ne esaltò la vitalità, in netta antitesi
con la critica precedente che aveva percepito quegli
stessi aspetti come risultato di uno svuotamento e di
una degenerazione del classicismo. Definito dal Friedländer
(1925) "stile anticlassico", il m. va inteso
più convenientemente come incrinatura dell'equilibrio
armonico classicista, e più in generale come crisi della
cultura umanistica e dei suoi ideali razionalistici,
in connessione con il travaglio storico della Riforma
e Controriforma e con gli squilibri economico-politici
che precedettero la formazione dei grandi Stati europei.
L'individuazione dei germi del m. nell'opera dei grandi
maestri del primo Cinquecento è, in quest'ambito, tra
i dati più interessanti: il vestibolo della Biblioteca
Laurenziana di Firenze, nel quale Michelangelo infrange
le regole euritmiche della proporzione spaziale, e gli
affreschi di Raffaello della stanza dell' Incendio di
Borgo in Vaticano, il cui impianto clamorosamente scenografico
rompe l'equilibrio prospettico in chiave illusionistica
e drammatica, si pongono come veri "incunaboli"
dell'arte manierista. I due primi centri di elaborazione
del m. si individuano dunque in Firenze e Roma. Nel
primo caso, il momento più inquieto e veramente "anticlassico",
rappresentato dalla pittura visionaria e bizzarra di
Pontormo, del Rosso Fiorentino e di Beccafumi, si dispone
tra il 1515 e il 1540 ca.: le figure allungate, prive
di consistenza strutturale, i colori accesi e innaturali
(Pontormo: Visitazione, chiesa di Carmignano; Cena in
Emmaus, Firenze, Uffizi. Rosso: Deposizione, Volterra,
Pinacoteca), le atmosfere tenebrose, gli effetti luministici
(Beccafumi: S. Michele, Siena, Carmine; Caduta degli
angeli, Siena, Pinacoteca) esasperando la "maniera"
dei grandi maestri ne mettono a nudo i limiti, a esprimere
insieme un disagio profondo e una volontà iconoclasta.
Nel secondo, sono gli allievi di Raffaello (Giulio Romano,
Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, Giovanni da
Udine) a stravolgerne per altri versi la "maniera",
in chiave di bizzarria e di estro fantastico, elaborando
un tipo di decorazione di enorme diffusione (grottesche),
elegante e gustosa, in cui vengono impiegati, su scala
ridotta e con fredda abilità, i modelli formali del
maestro.
LA DIFFUSIONE Con
la diaspora di questi artisti dopo il sacco di Roma
(1527), i germi del m. si diffusero non solo in Italia,
ma anche in Europa, dando vita a differenziate esperienze
locali: da Genova (Perin del Vaga), al Veneto (Giovanni
da Udine) e soprattutto a Mantova, dove il soggiorno
di Giulio Romano (dal 1524) lasciò un esempio emblematico
del m. in architettura e nella decorazione: come già
avvertivano icontemporanei (Serlio), il complesso del
palazzo del Te, col suo inedito rapporto tra architettura
e natura, le sue inquiete esplorazioni dei limiti tra
"regola" e "licenza", le spregiudicate
bizzarrie decorative (Sala dei Giganti), è una vera
"summa" di stilemi che preludono al repertorio
curioso dei giardini segreti, delle grotte, delleville
(Boboli a Firenze; Ville Medicee di Castello e della
Petraia; Parco dei Mostri a Bomarzo; Villa Lantea Bagnaia),
in cui spesso l'architettura si riduce a pura struttura
scenografica, immerse in giardini animati da giochi
continui di statue e di fontane. Né va dimenticato che
a Mantova lavorò come decoratore il Primaticcio, che
ritroviamo, insieme al Rosso, a Nicolò dell'Abate, allo
stesso Serlio, attivo per Francesco I al castello di
Fontainebleau, dove la presenza degli artisti italiani
diede vita alla famosa scuola di Fontainebleau, dai
duraturi influssi sull'arte francese. Il m. divenne
lo stile delle corti, in Italia come in Europa: un'arte
colta, aristocratica, basata sulle iconografie preziose,
sui riferimenti dotti, sulle allegorie complicate, e
in questo passaggio è forse la chiave del problema del
manierismo. Ne è un esempio l'attività (ca. 1540-70)
di Vasari e dei manieristi michelangioleschi (Buontalenti,
Ammannati, Giambologna, Cellini) alla corte medicea.
Del m. come cultura celebrativa e aulica, nell'ambito
della quale l'architettura si fa scenografia (Vasari,
sistemazione degli Uffizi, Ammannati, ampliamento di
Palazzo Pitti), la scultura oscilla tra gli opposti
termini del gigantismo magniloquente (Ammannati, Fontana
del Nettuno) e del preziosismo dell'oggetto di oreficeria
(Cellini, Saliera per Francesco I, Parigi, Louvre),
la pittura assume le diverse valenze del grande affresco
celebrativo (Vasari) e del ritratto enigmatico e formale
(Bronzino); il simbolo visivo e concettuale più evidente
è il celebre studiolo di Francesco I, granduca di Toscana.
Il processo fu simile a Roma, dove da un lato la parabola
architettonica del Vignola, dalle licenze inventive
di Villa Farnese a Caprarola e di Villa Lante a Bagnaia
alla nuova codificazione della chiesa del Gesù a Roma
e al modello accademico del celebre Trattato, dall'altro
l'attività di pittori come Vasari, Salviati, Daniele
da Volterra, aprirono la via all'accademismo eclettico
degli Zuccari e del Cavalier d'Arpino a fine secolo.
È chiara la difficoltà di inserire, in questo svolgimento,
l'episodio veneto, dove maturarono esperienze diverse,
sia nella pittura (Veronese, Tintoretto) sia nell'architettura
(Sansovino, Sanmicheli, Palladio), il cui rapporto col
m. si configura di notevole complessità, tanto da indurre
la critica attuale a ridurre di molto la portata del
termine in campo architettonico. Verso la fine del secolo,
proprio dal centro manierista di Bologna, che aveva
conosciuto l'arte raffinata del Parmigianino e di Nicolò
dell'Abate, partì quel movimento di reazione antimanierista
bandito dai Carracci che, rifluito a Roma, nel tentativo
di instaurare un classicismo coerente in realtà diede
vita all'accademia. Lo "stile dello stile",
lo stile delle corti, ebbe vita più lunga in Europa,
nella sua accezione più "cortigiana": nella
Praga di Rodolfo II (Spranger, H. von Aachen), nei Paesi
Bassi, in Baviera e, in un ultimo guizzo di autentica
forza di stile, in Spagna, con l'esperienza del Greco.
BIBLIOGRAFIA E.
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La peinture manieriste, Neuchâtel, 1964; J. Shearman,
Mannerism, Londra, 1967; A. Chastel, La crise de la
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Firenze, 1971; G. Weise, Il manierismo. Bilancio critico
del problema stilistico e culturale, Firenze, 1971;
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